Bando ISI INAIL 2024: al via le domande dal 14 aprile 2025

Sta per aprirsi ufficialmente la piattaforma online per il Bando ISI INAIL 2024, che mette a disposizione ben 600 milioni di euro a sostegno della sicurezza nei luoghi di lavoro. Da quest’anno, INAIL ha pubblicato gli avvisi pubblici regionali e provinciali con un buon anticipo, confermando l’attenzione dell’ente verso la salute e la prevenzione degli infortuni sul lavoro, come previsto dal Testo Unico sulla sicurezza (D.Lgs. 81/2008) e dalla Legge 208/2015.

Quando presentare la domanda

Le aziende interessate potranno accedere alla procedura online a partire dal 14 aprile 2025, con scadenza fissata al 30 maggio 2025 alle ore 18:00. Entro il 16 maggio è previsto un aggiornamento del calendario ufficiale da parte dell’INAIL.

Per facilitare l’invio delle domande, l’Istituto ha pubblicato anche due videotutorial esplicativi, utili a chi si approccia per la prima volta alla procedura.

Chi può partecipare e per quali progetti

Il bando si rivolge principalmente a:

  • Imprese (anche individuali) iscritte alla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura;

  • Enti del Terzo Settore, ma solo per interventi finalizzati alla riduzione del rischio da movimentazione manuale delle persone.

Sono finanziabili diversi progetti suddivisi in 5 Assi di finanziamento:

  1. Riduzione dei rischi tecnopatici

  2. Adozione di modelli organizzativi e responsabilità sociale

  3. Riduzione dei rischi infortunistici

  4. Bonifica da materiali contenenti amianto

  5. Sostegno a micro e piccole imprese, incluse quelle agricole

Quanto si può ottenere

Il bando prevede un totale di 600 milioni di euro, ripartiti così:

  • 510 milioni per progetti standard (ISI)

  • 90 milioni per il settore agricoltura (ISI Agricoltura)

I fondi sono distribuiti tra i vari assi nel modo seguente:

  • Asse 1.1 (Rischi tecnopatici): € 93.000.000

  • Asse 1.2 (Modelli organizzativi): € 12.000.000

  • Asse 2 (Rischi infortunistici): € 165.000.000

  • Asse 3 (Bonifica amianto): € 150.000.000

  • Asse 4 (Settori specifici): € 90.000.000

  • Asse 5.1 (Agricoltura): € 70.000.000

  • Asse 5.2 (Giovani agricoltori): € 20.000.000

I fondi saranno assegnati alle regioni sulla base di criteri statistici che tengono conto della propensione delle imprese a richiedere finanziamenti e della gravità degli infortuni registrati in passato.

Tipologia di contributo

Il contributo erogato è a fondo perduto (escluse le spese IVA), secondo queste percentuali:

  • 65% delle spese ammissibili per gli Assi 1.1, 2, 3, 4

  • 80% per l’Asse 1.2 (modelli organizzativi)

  • Fino al 65% per l’Asse 5.1 (imprese agricole)

  • Fino all’80% per l’Asse 5.2 (giovani agricoltori)

Il finanziamento può variare tra:

  • € 5.000 e € 130.000,
    senza soglia minima per le imprese con meno di 50 dipendenti che presentano progetti sull’Asse 1.2.

Come si presenta la domanda

La presentazione della domanda avverrà interamente online tramite la sezione “Accedi ai servizi online” sul sito www.inail.it. La procedura è guidata, passo dopo passo, fino al completamento dell’invio e dell’eventuale caricamento della documentazione richiesta.

Per chi ha bisogno di chiarimenti o supporto tecnico, è possibile:

  • Chiamare il Contact Center INAIL al numero 06.6001

  • Usare il servizio “Inail Risponde” nella sezione Supporto del sito web.

Le richieste di assistenza devono essere inviate almeno 10 giorni prima della scadenza del bando.

 

Distacco del personale assoggettato ad iva dal 2025

Dal 01.01.2025 i distacchi di personale stipulati o rinnovati andranno assoggettati ad iva, in base all’art. 16-ter del DL n 16.9.2024, n. 2024, n. 131.

Da tale data è stato infatti abrogato il comma 35, dell’art. 8 della L. 11.3.1988, n. 67, secondo il quale “non sono da intendere rilevanti ai fini dell’IVA i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”.

Viene in ogni caso fatto salvo il comportamento adottato precedentemente all’entrata in vigore della nuova norma, sia che:

  • si sia scelto di applicare la precedente regola di irrilevanza ai fini dell’IVA;
  • si sia scelto di addebitare l’IVA sulle fatture a tal fine emesse, conformemente alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea dell’11.1.3.2020, nella causa C-94/19, con la quale è stata dichiarata l’incompatibilità della norma Italiana con l’ordinamento dell’Unione Europea.

Si specifica che le somme percepite per i prestiti e i distacchi di personale fino al 31.12.2024 potevano non essere assoggettate ad iva a condizione che fossero commisurate al rimborso esclusivo del relativo costo. L’iva invece andava applicata laddove fosse stata applicata una maggiorazione rispetto al costo vivo sostenuto.

Secondo acconto per i soggetti IVA, possibile proroga e rate dal 2025

Il Ministro dell’Economia Giorgetti, nella risposta all’interrogazione parlamentare n.  3-01551 riportata alla Camera il 13 novembre scorso, evidenziava che era in corso la valutazione per l’adozione di una norma che preveda il rinvio, così come era stato per l’anno d’imposta 2023, anche per il periodo d’imposta 2024, del secondo acconto di imposte e contributi, con la possibilità di rateizzare le somme dovute in cinque rate mensili, dal mese di gennaio al mese di maggio 2025.

Come per lo scorso anno, la norma sarebbe specifica solo per le persone fisiche titolari di partita iva.

Il Ministro, aveva però precisato che l’eventualità del rinvio dei secondi acconti è vincolato ai limiti delle disponibilità finanziarie sussistenti, per sopperire a quello che sarebbe in pratica un minor gettito per le casse Statali nel mese di dicembre.

Se verrà riproposta la norma dello scorso anno, il rinvio e la rateizzazione dovrebbero essere consentiti solo per i soggetti con partita iva con fatturato o compensi incassati nell’anno 2023 fino a 170.000 euro. L’unica novità sarebbe forse la possibilità di rinviare e dilazionare anche i contributi previdenziali.

Si resta in attesa della norma definitiva.

Fatture da falso appalto di servizi, il loro utilizzo in dichiarazione è un reato

Quando un contratto di fornitura di manodopera maschera in realtà un rapporto di lavoro subordinato irregolare, nascondendo l’intento di evadere il Fisco, si commette un illecito.

Uso fraudolento di fatture in dichiarazione fiscale
La Corte di Cassazione ha stabilito, con la sentenza n. 34407 del 12 settembre 2024, che l’impiego di fatture apparentemente legate a un contratto di appalto di servizi, che in realtà nasconde una somministrazione illecita di manodopera, costituisce il reato di dichiarazione fraudolenta. Il ricorso presentato dal contribuente è stato rigettato, e quest’ultimo è stato condannato al pagamento delle spese processuali.

I fatti e il ricorso alla Cassazione
Il 30 gennaio 2024, il Tribunale di Salerno aveva imposto gli arresti domiciliari a un imprenditore, accogliendo in parte il ricorso del procuratore della Repubblica contro una precedente ordinanza del Gip. I reati contestati all’imprenditore riguardano gli articoli 2 e 8 del Dlgs n. 74/2000, in merito all’utilizzo di fatture false per operazioni inesistenti.

Secondo il Tribunale, l’imprenditore aveva riportato nella dichiarazione della sua azienda per gli anni fiscali 2013-2019 elementi passivi falsi, utilizzando fatture emesse da cooperative fittizie. La società aveva prima stipulato contratti di appalto per la logistica e la distribuzione delle merci e successivamente subappaltato tali servizi a cooperative inesistenti.

Le fatture emesse da queste cooperative, in realtà riferite al costo del lavoro, erano state utilizzate per ottenere indebite detrazioni Iva e deduzioni Ires, con conseguente evasione fiscale. Le cooperative coinvolte non avrebbero presentato dichiarazioni fiscali regolari o avrebbero omesso i versamenti dovuti.

L’imprenditore aveva impugnato questa ordinanza in Cassazione, sostenendo che le cooperative esistevano realmente e operavano anche con altre imprese. La difesa ha sottolineato come il Tribunale avesse enfatizzato il controllo comune tra la società e le cooperative, ma senza tenere conto della reale esistenza di una struttura aziendale indipendente delle cooperative stesse.

La violazione contestata
L’articolo 2 del Dlgs n. 74/2000, che disciplina i reati fiscali, prevede la reclusione da quattro a otto anni per chi utilizza fatture o documenti per operazioni inesistenti al fine di evadere l’Iva. Non è necessario che l’evasione si verifichi realmente: basta che l’intento fraudolento sia dimostrabile.

Il dolo specifico di evasione è ampio e include qualsiasi azione che falsifichi la pretesa fiscale dello Stato, come l’utilizzo di fatture false per aumentare i costi deducibili e ottenere indebite agevolazioni fiscali.

La sentenza
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che le fatture utilizzate nelle dichiarazioni fiscali della società riguardavano operazioni inesistenti. Il punto cruciale, secondo la Corte, non era l’esistenza formale delle cooperative emittenti, bensì la reale natura delle prestazioni indicate nelle fatture, che in realtà mascheravano una somministrazione irregolare di manodopera e non un vero servizio.

Le fatture si riferivano a prestazioni lavorative di dipendenti sotto il controllo diretto dell’imprenditore, il che configurava una somministrazione di manodopera piuttosto che un vero e proprio appalto di servizi.

In base all’articolo 38, comma 1, del Dlgs n. 81/2015, un contratto di somministrazione di manodopera è nullo se non formalizzato per iscritto, e i lavoratori devono essere considerati dipendenti del reale utilizzatore. Inoltre, quando la somministrazione non rispetta i requisiti di legge, i lavoratori possono chiedere l’instaurazione di un rapporto di lavoro con il vero datore di lavoro.

In questo contesto, se la somministrazione di manodopera viene camuffata da un contratto di appalto di servizi, non è possibile dedurre i costi dei lavoratori ai fini fiscali, in quanto il titolo giuridico che legittimerebbe tali detrazioni è invalido.

Le conclusioni della Corte
La Corte ha applicato principi già consolidati, affermando che l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, attraverso contratti simulati di appalto di servizi che in realtà coprono un’intermediazione illecita di manodopera, configura il reato di dichiarazione fraudolenta.

I giudici hanno ribadito che la differenza tra chi ha realmente fornito la prestazione (i lavoratori) e chi è indicato in fattura (la società appaltatrice) è decisiva per configurare l’illecito. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto e l’imprenditore condannato al pagamento delle spese processuali.