Distacco del personale assoggettato ad iva dal 2025

Dal 01.01.2025 i distacchi di personale stipulati o rinnovati andranno assoggettati ad iva, in base all’art. 16-ter del DL n 16.9.2024, n. 2024, n. 131.

Da tale data è stato infatti abrogato il comma 35, dell’art. 8 della L. 11.3.1988, n. 67, secondo il quale “non sono da intendere rilevanti ai fini dell’IVA i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”.

Viene in ogni caso fatto salvo il comportamento adottato precedentemente all’entrata in vigore della nuova norma, sia che:

  • si sia scelto di applicare la precedente regola di irrilevanza ai fini dell’IVA;
  • si sia scelto di addebitare l’IVA sulle fatture a tal fine emesse, conformemente alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea dell’11.1.3.2020, nella causa C-94/19, con la quale è stata dichiarata l’incompatibilità della norma Italiana con l’ordinamento dell’Unione Europea.

Si specifica che le somme percepite per i prestiti e i distacchi di personale fino al 31.12.2024 potevano non essere assoggettate ad iva a condizione che fossero commisurate al rimborso esclusivo del relativo costo. L’iva invece andava applicata laddove fosse stata applicata una maggiorazione rispetto al costo vivo sostenuto.

Fatture da falso appalto di servizi, il loro utilizzo in dichiarazione è un reato

Quando un contratto di fornitura di manodopera maschera in realtà un rapporto di lavoro subordinato irregolare, nascondendo l’intento di evadere il Fisco, si commette un illecito.

Uso fraudolento di fatture in dichiarazione fiscale
La Corte di Cassazione ha stabilito, con la sentenza n. 34407 del 12 settembre 2024, che l’impiego di fatture apparentemente legate a un contratto di appalto di servizi, che in realtà nasconde una somministrazione illecita di manodopera, costituisce il reato di dichiarazione fraudolenta. Il ricorso presentato dal contribuente è stato rigettato, e quest’ultimo è stato condannato al pagamento delle spese processuali.

I fatti e il ricorso alla Cassazione
Il 30 gennaio 2024, il Tribunale di Salerno aveva imposto gli arresti domiciliari a un imprenditore, accogliendo in parte il ricorso del procuratore della Repubblica contro una precedente ordinanza del Gip. I reati contestati all’imprenditore riguardano gli articoli 2 e 8 del Dlgs n. 74/2000, in merito all’utilizzo di fatture false per operazioni inesistenti.

Secondo il Tribunale, l’imprenditore aveva riportato nella dichiarazione della sua azienda per gli anni fiscali 2013-2019 elementi passivi falsi, utilizzando fatture emesse da cooperative fittizie. La società aveva prima stipulato contratti di appalto per la logistica e la distribuzione delle merci e successivamente subappaltato tali servizi a cooperative inesistenti.

Le fatture emesse da queste cooperative, in realtà riferite al costo del lavoro, erano state utilizzate per ottenere indebite detrazioni Iva e deduzioni Ires, con conseguente evasione fiscale. Le cooperative coinvolte non avrebbero presentato dichiarazioni fiscali regolari o avrebbero omesso i versamenti dovuti.

L’imprenditore aveva impugnato questa ordinanza in Cassazione, sostenendo che le cooperative esistevano realmente e operavano anche con altre imprese. La difesa ha sottolineato come il Tribunale avesse enfatizzato il controllo comune tra la società e le cooperative, ma senza tenere conto della reale esistenza di una struttura aziendale indipendente delle cooperative stesse.

La violazione contestata
L’articolo 2 del Dlgs n. 74/2000, che disciplina i reati fiscali, prevede la reclusione da quattro a otto anni per chi utilizza fatture o documenti per operazioni inesistenti al fine di evadere l’Iva. Non è necessario che l’evasione si verifichi realmente: basta che l’intento fraudolento sia dimostrabile.

Il dolo specifico di evasione è ampio e include qualsiasi azione che falsifichi la pretesa fiscale dello Stato, come l’utilizzo di fatture false per aumentare i costi deducibili e ottenere indebite agevolazioni fiscali.

La sentenza
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che le fatture utilizzate nelle dichiarazioni fiscali della società riguardavano operazioni inesistenti. Il punto cruciale, secondo la Corte, non era l’esistenza formale delle cooperative emittenti, bensì la reale natura delle prestazioni indicate nelle fatture, che in realtà mascheravano una somministrazione irregolare di manodopera e non un vero servizio.

Le fatture si riferivano a prestazioni lavorative di dipendenti sotto il controllo diretto dell’imprenditore, il che configurava una somministrazione di manodopera piuttosto che un vero e proprio appalto di servizi.

In base all’articolo 38, comma 1, del Dlgs n. 81/2015, un contratto di somministrazione di manodopera è nullo se non formalizzato per iscritto, e i lavoratori devono essere considerati dipendenti del reale utilizzatore. Inoltre, quando la somministrazione non rispetta i requisiti di legge, i lavoratori possono chiedere l’instaurazione di un rapporto di lavoro con il vero datore di lavoro.

In questo contesto, se la somministrazione di manodopera viene camuffata da un contratto di appalto di servizi, non è possibile dedurre i costi dei lavoratori ai fini fiscali, in quanto il titolo giuridico che legittimerebbe tali detrazioni è invalido.

Le conclusioni della Corte
La Corte ha applicato principi già consolidati, affermando che l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, attraverso contratti simulati di appalto di servizi che in realtà coprono un’intermediazione illecita di manodopera, configura il reato di dichiarazione fraudolenta.

I giudici hanno ribadito che la differenza tra chi ha realmente fornito la prestazione (i lavoratori) e chi è indicato in fattura (la società appaltatrice) è decisiva per configurare l’illecito. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto e l’imprenditore condannato al pagamento delle spese processuali.