Vendita beni tramite piattaforma digitale: prima comunicazione entro oggi 31.10

Entro oggi 31 ottobre, si effettua il primo invio all’Agenzia delle Entrate dei dati relativi alle cessioni, per coloro che facilitano la vendita a distanza di beni importati e non nel perimetro dell’Unione Europea, attraverso piattaforme digitali (marketplace).

L’articolo 13, comma 1, D.L. 34/2019, introducendo tale nuovo adempimento, prevede l’invio dei dati di ciascun trimestre entro la fine del mese successivo, utilizzando  direttamente i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate o incaricando appositamente un intermediario abilitato.

In sede di prima applicazione, la prima trasmissione è effettuata entro oggi giovedì 31 ottobre 2019.

Sempre entro oggi, si devono trasmettere anche i dati riferibili al periodo compreso tra il 13 febbraio 2019 e il 30 aprile 2019, relativi alle vendite a distanza “facilitate” tramite l’utilizzo di un’interfaccia elettronica di telefoni cellulari / console da gioco / tablet PC / laptop di cui all’art. 11-bis, commi da 11 a 15, DL n. 135/2018.

I dati da trasmettere
Con provvedimento del 31 luglio 2019, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito modalità e termini per effettuare il nuovo adempimento, ed in particolare per ciascun trimestre dell’anno solare ha individuato i dati da indicare per ciascun fornitore che ha effettuato almeno una vendita a distanza:

  • la denominazione o i dati anagrafici completi, inclusa la residenza o il domicilio;
  • l’identificativo univoco utilizzato per effettuare le vendite facilitate dall’interfaccia elettronica;
  • il codice identificativo fiscale ove esistente;
  • l’indirizzo di posta elettronica;
  • il numero totale delle unità vendute in Italia;
  • a scelta del soggetto passivo, per le unità vendute in Italia l’ammontare totale dei prezzi di vendita o il prezzo medio di vendita, espressi in Euro.

Decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2020

Il Governo PD-Movimento 5 Stelle si trova a presentare a stretto giro il decreto fiscale collegato alla Legge di bilancio 2020. Come sempre, il problema sono le risorse necessarie per attuare le diverse politiche, quest’anno aggravato dalla necessità di reperire 23 miliardi solo per disinnescare le clausole di salvaguardia che provocherebbero, dal 1° gennaio 2020, un aumento alle aliquote IVA. Uno dei pilastri del nuovo Esecutivo è la lotta all’evasione fiscale, così da aver maggiori entrate su cui poter poi fondare ulteriori misure.

La prossima settimana dovrebbe essere presentato il testo del decreto fiscale collegato alla Legge di bilancio 2020, che dovrebbe anche contenere le misure della lotta all’evasione da cui i tecnici si aspettano nuove entrate. Vediamo quali proposte sono in fase di valutazione:

  • modifiche ai rimborsi che scaturiscono dalle dichiarazioni dei redditi “730” e “Redditi”. Infatti dai rimborsi potrebbe essere direttamente detratto l’importo di cui il contribuente è debitore verso l’Erario;
  • slittamento dei termini di pagamento previsti per la rottamazione delle cartelle esattoriali che passa così dal 31 luglio al 30 novembre;
  • modifiche al regime forfettario con aliquota al 15% per i redditi fino a 65.000 euro. Lo scopo è sempre la riduzione dell’evasione fiscale e pertanto saranno introdotti nuovi limiti di accesso/permanenza nel regime, con particolare attenzione alla presenza o meno di dipendenti. Per lo stesso motivo è quasi sicura l’abolizione del regime agevolato con aliquota al 20% per i redditi fino a 100.000 euro;
  • modifiche all’IMU e TASI che probabilmente saranno fuse insieme in una tassa unica sul mattone, e sulle quali sarà concesso maggior potere di controllo e riscossione da parte dei Comuni grazie anche all’accesso alle banche dati di cui è già in possesso l’Agenzia delle Entrate-Riscossione. L’obiettivo della norma sarebbe quello di semplificare le imposte sul mattone e fondare il calcolo su dati reperibili dagli enti locali, così da permettere la predisposizione di modelli precompilati da spedire ai contribuenti;
  • Creazione di un anagrafe digitale in cui i contribuenti potranno verificare la propria posizione fiscale;
  • stretta sulle compensazioni dei crediti: se l’importo Ires, Irpef e Irap da compensare è maggiore di 5.000 euro, potrà essere utilizzato solamente dopo aver presentato all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione dei redditi.

 

Scattano i controlli sui movimenti in contanti oltre 10.000 euro mensili

Dal 1° settembre 2019, banche e intermediari finanziari entro il 15 di ogni mese  invieranno una comunicazione all’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) con l’indicazione di tutti i movimenti effettuati dai contribuenti, riferiti al mese precedente, in entrata e in uscita per importi superiori a 10.000 euro.  Benché non sia una segnalazione per azioni sospette, permetterà comunque alla Guardia di Finanza di disporre di più informazioni su coloro che utilizzano frequentemente somme in contanti, in quanto strumento non tracciabile.

Ai fini del calcolo dell’importo di 10.000 euro bisogna prestare attenzione a quanto pubblicato nelle FAQ dell’U.I.F. sulle comunicazioni oggettive, il cui documento è stato aggiornato il 30 agosto 2019.

Gli importi da sommare sono solo quelli in contanti. Ad esempio, un’operazione di prelevamento da conto corrente per 1.500 euro totali con contestuale versamento di 1.000 euro su libretto di deposito a risparmio (“contante virtuale”) e prelevamento di 500 euro in contanti (“contante reale”) non deve essere considerata ai fini del calcolo del superamento della soglia in quanto la parte in contanti reale è inferiore ai 1.000 euro.

Nel caso in cui si verifichino movimentazioni in contanti su diversi conti correnti dello stesso intestatario, gli importi dovranno essere sommati a prescindere dal segno monetario (non è ammessa la compensazione tra operazioni di segno opposto). Ad esempio, se un cliente è intestatario di due conti A e B presso il medesimo istituto bancario ed effettua, nello stesso mese solare, un prelevamento di contanti di 6.000 euro dal conto A e un versamento di contanti di 6.000 euro sul conto B, dovranno essere segnalate entrambe le operazioni in quanto l’importo complessivo in contanti supera la soglia di 10.000 euro.

Se un soggetto fisico effettua, nell’arco dello stesso mese solare, diverse operazioni con riferimento a ruoli diversi (ad es. per sè stesso e per una società di cui è legale rappresentante), occorre sommare gli importi di tutte le operazioni relative al soggetto fisico in esame, anche se tale soggetto è coinvolto con ruoli diversi.

Ad esempio, se un soggetto effettua le seguenti operazioni:

• 7.000 euro come Cliente;

• 3.000 euro come amministratore della Società Alfa;

entrambe le operazioni dovranno essere comunicate in quanto la somma complessiva supera la soglia di 10.000 euro.

I nuovi I.S.A. al posto degli Studi di Settore

Nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate n.17 pubblicata incredibilmente il 2 agosto 2019 tra le numerose proteste dei commercialisti e degli imprenditori sono stati forniti i “primi chiarimenti” in merito agli ISA (Indici Sintetici di Affidabilità fiscale). Com’è noto ormai, in seguito alla applicazione degli ISA, che dal 2018 sostituiscono gli Studi di Settore, viene fornito al contribuente un giudizio complessivo di affidabilità, graduato su una scala di valori da 1 a 10, che tiene conto dei punteggi conseguenti all’applicazione di singoli indicatori elementari (indicatori elementari di affidabilità e di anomalia).

Tanto più alto è il punteggio ottenuto in termini di affidabilità, tanto maggiori possono essere i benefici premiali per i contribuenti interessati, e tanto minore invece è l’affidabilità del soggetto, tanto maggiore potrebbe risultare la probabilità, per lo stesso, di essere interessato da una attività di controllo.

Il contribuente, quindi, sulla base della specifica situazione soggettiva potrà avere interesse a migliorare il proprio giudizio di affidabilità.

Come ricordato nel documento citato, il proprio punteggio di affidabilità può esser modificato:

  • correggendo le eventuali anomalie evidenziate dagli specifici indicatori elementari;
  • dichiarando ulteriori componenti positivi.

In proposito, i contribuenti possono indicare nelle dichiarazioni fiscali ulteriori componenti positivi non risultanti dalle scritture contabili, per migliorare il proprio profilo di affidabilità. La dichiarazione di tali ulteriori componenti positivi, rilevanti per la determinazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, ai fini IRAP e, in termini di maggior volume di affari, ai fini IVA, avrà quindi effetti diretti per l’accesso alla predetta premialità. In particolare, viene stabilito che all’ammontare del maggior volume di affari si applica, tenendo conto dell’esistenza di operazioni non soggette ad imposta ovvero soggette a regimi speciali, l’aliquota media risultante dal rapporto tra l’imposta relativa alle operazioni imponibili, diminuita di quella relativa alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume d’affari dichiarato.

Viene altresì prevista la possibilità per il contribuente di applicare l’aliquota propria delle attività esercitate compilando il relativo campo presente nei modelli ISA e fornendo “prova contraria”, eventualmente già in fase di dichiarazione dei dati, indicando elementi nella sezione “note aggiuntive” del software ISA. La dichiarazione di tali ulteriori componenti positivi non comporta l’applicazione di sanzioni e interessi, a condizione che il versamento delle relative imposte sia effettuato entro il termine e con le modalità previste per il versamento a saldo delle imposte sui redditi, con facoltà di effettuare il pagamento rateale delle somme dovute a titolo di saldo e di acconto delle imposte.
Si ricorda infine che con la risoluzione n. 48/E del 10 maggio 2019 è stato chiarito che il codice tributo da indicare nel modello F24 per effettuare il versamento integrativo dell’IVA derivante dall’adeguamento del volume d’affari, deve essere lo stesso utilizzato negli anni precedenti ai fini dell’adeguamento agli Studi di Settore, all’occorrenza ridenominato codice tributo “6494 – ISA – Indici Sintetici di Affidabilità fiscale – integrazione IVA”.

Proroga dei versamenti delle imposte al 30 settembre

La proroga dei versamenti delle imposte derivanti dalle dichiarazioni dei redditi 2019 relative all’anno 2018, con l’approvazione del Decreto Crescita al Senato, nel pomeriggio del 27 giugno, diventa ufficiale. Lo spostamento dei termini al 30 settembre è contenuto in un emendamento al testo convertito in legge.

La scadenza originaria per i versamenti delle imposte sui redditi 2019 è il prossimo 1° luglio, tuttavia, nelle ultime settimane sono intervenuti due eventi che avevano reso la scadenza già superata, per effetto di una sorta di doppia proroga:

  • la prima era stata annunciata dall’Agenzia Ansa rispetto ad un DPCM del MEF – mai ufficializzato però – che avrebbe previsto la scadenza delle imposte da dichiarazione dei redditi 2019 al 22 luglio 2019;
  • successivamente, l’emendamento al Decreto Crescita ha previsto la proroga al 30 settembre.

La proroga in oggetto riguarda le imposte sui redditi Irpef, Ires ed Irap ma anche IVA e diritto annuale dovuto alla Camera di Commercio, le cui scadenze seguono per legge quelle delle imposte sui redditi. Alla proroga non è ovviamente obbligatorio adeguarsi: i contribuenti che volessero continuare a rispettare lo scadenzario originario potranno farlo senza alcun obbligo o adempimento particolare (in questo senso si veda anche la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate numero 69/E del 2012).

Proroga dei versamenti anche per contribuenti minimi e forfettari?

Uno dei dubbi più ricorrenti in questi giorni è relativo alla possibilità che la proroga delle imposte sui redditi 2019 possa valere anche per i contribuenti minimi e forfettari.

La risoluzione n.64 dell’Agenzia delle Entrate di oggi 27 giugno ha chiarito che anche i contribuenti che si avvalgono del regime di vantaggio per l’imprenditoria giovanile, e del regime forfettario, possono beneficiare della proroga.

Tuttavia, la proroga in oggetto ha dei limiti, in quanto è prevista esclusivamente per tutti i “soggetti per i quali gli ISA (Indicatori Sintetici di Affidabilità Fiscale, che sostituiscono i vecchi Studi di Settore) siano stati approvati”, indipendentemente dal fatto che tali contribuenti li applichino o non li applichino per determinate cause di esclusione.

 

Pronto il decreto di proroga dei versamenti delle imposte sui redditi al 22 luglio

La richiesta di proroga dei termini di versamento delle imposte sui redditi, normalmente fissati al 30 giugno, è stata formulata dal presidente del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, Massimo Miani, in due distinte lettere inviate rispettivamente al Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, e al Capo Divisione Servizi dell’Agenzia delle Entrate, Paolo Savini.

In particolare, i commercialisti chiedono la proroga dei termini di versamento delle imposte a causa dei ritardi accumulati nella messa a punto degli strumenti necessari all’applicazione dei nuovi Indici Sintetici di Affidabilità Fiscale (ISA) che sostituiscono gli ormai abrogati Studi di Settore. I commercialisti ritengono peraltro del tutto insufficiente un intervento tramite Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) che consentirebbe un differimento dei termini di versamento per un periodo non superiore ai primi venti giorni, dovendo anche avere il tempo necessario per “familiarizzare” con il nuovo strumento ISA ed illustrarlo ai propri clienti. Il riferimento è allo schema di DPCM che sarebbe già pronto e che slitterebbe i termini al 20 luglio, che cadendo di sabato, farebbe slittare tutto al lunedì 22 luglio.

 

Saldo e stralcio 2019: ecco i termini per chi ha aderito entro il 30 aprile 2019

Cosa succede ai contribuenti che hanno presentato la dichiarazione di adesione al “saldo e stralcio” entro il termine del 30 aprile 2019? Ovviamente la risposta cambia a seconda dell’esito della procedura, cioè se l’istanza di adesione al saldo e stralcio è stata o meno, accolta.

Nel primo caso, cioè dell’accoglimento del “saldo e stralcio”, la legge prevede che Agenzia delle Entrate-Riscossione invii al contribuente entro il 31 ottobre 2019 una “Comunicazione” contenente:

  • l’ammontare complessivo delle somme dovute per l’estinzione dei debiti;
  • l’indicazione del giorno e mese di scadenza delle rate;
  • l’importo di ciascuna di esse, unitamente ai bollettini per il pagamento.

Come indicato sul sito ufficiale di Agenzia delle Entrate-Riscossione, a seconda della scelta effettuata dal contribuente, il debito sarà estinto in un’unica soluzione entro il 30 novembre 2019, oppure in 5 rate così suddivise:

  • 35% con scadenza il 30 novembre 2019;
  • 20% con scadenza il 31 marzo 2020;
  • 15% con scadenza il 31 luglio 2020;
  • 15% con scadenza il 31 marzo 2021;
  • il restante 15% con scadenza il 31 luglio 2021.

Diversamente, nella seconda ipotesi, cioè in caso di mancato accoglimento del “saldo e stralcio”, la legge prevede che Agenzia delle Entrate-Riscossione invii al contribuente entro il 31 ottobre 2019 una “Comunicazione” con la quale, motivando il mancato accoglimento del “saldo e stralcio” e limitatamente ai debiti definibili ai sensi dell’art. 3 del D.L. n. 119/2018, avverte il contribuente dell’automatica inclusione nei benefici della Definizione agevolata 2018 (c.d. “rottamazione-ter”) fornendo altresì l’importo da pagare e le relative scadenze di pagamento.

A tal proposito, con le novità introdotte, da ultimo, dal Decreto Semplificazioni (Decreto Legge 135/2018) il pagamento delle somme dovute dovrà essere effettuato in un’unica soluzione entro il 30 novembre 2019 oppure:

  • in 17 rate (5 anni), di cui la prima entro il 30 novembre 2019 (30%) e le restanti 16, ciascuna di pari importo, il 28 febbraio, 31 maggio, 31 luglio e 30 novembre per i quattro anni successivi;
  • in 9 rate (3 anni), nel caso in cui per gli stessi carichi sia stata già richiesta la “rottamazione-bis”, ma non risultino pagate, entro il 7 dicembre 2018, le rate di luglio, settembre e ottobre 2018.

Il pagamento della prima rata deve essere effettuato entro il 30 novembre 2019 (30%) e le restanti 8, ciascuna di pari importo, il 28 febbraio, 31 maggio, 31 luglio e 30 novembre degli anni 2020 e 2021.

Contribuenti Forfettari: per i dipendenti ora si pagano le ritenute

Approvato dal Consiglio dei Ministri n. 53 del 4 aprile 2019 il c.d. decreto crescita (decreto con misure urgenti per la crescita economica).

Una delle novità di quest’anno è che dal 2019 i contribuenti che applicano il regime forfettario potranno avvalersi dell’impiego di dipendenti e collaboratori, dopo che la Legge di bilancio 2019 ha rimosso la soglia di 5.000 euro riferita alle spese sostenute per l’impiego di lavoratori, al di sopra della quale non era consentito l’accesso al regime forfettario. Nel decreto crescita viene chiarito che i contribuenti che applicano il regime forfettario devono effettuare le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui, rispettivamente, agli articoli 23 e 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.
La disposizione semplifica per i lavoratori interessati la gestione degli adempimenti fiscali, evitando ai medesimi l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi allo scopo di liquidare l’Irpef, nonché le addizionali regionali e comunali. Peraltro, dal punto di vista degli adempimenti del datore di lavoro, questi ha già, comunque, l’obbligo di liquidare mensilmente i contributi a proprio carico e quelli trattenuti al lavoratore, di versarli tramite modello F24, nonché di presentare tutte le relative comunicazioni previdenziali e assicurative agli enti di pertinenza. Conseguentemente per il datore di lavoro, non si configura un sostanziale aggravio di adempimenti.
Allo scopo di rendere, per il lavoratore, maggiormente sostenibile l’impatto delle ritenute fiscali per i primi mesi del 2019, la disposizione prevede il loro frazionamento in tre rate mensili.
Analoga disposizione viene prevista per i contribuenti che ricadranno nel nuovo regime sostitutivo introdotto dalla Legge n. 145/2018 (Legge di Bilancio 2019), applicabile nel caso di ricavi/compensi tra euro 65.001 e 100.000. Infatti al comma 3 dell’art. 5 la norma integra la disciplina dell’imposta sostitutiva introdotta per esercenti attività d’impresa, arti e professioni in forma individuale, di cui all’articolo 1, comma 17 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (disposizione la cui efficacia è rinviata al 2020) chiarendo che i contribuenti che applicano l’imposta sostitutiva sono tenuti a effettuare le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui, rispettivamente, agli articoli 23 e 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.

Pace contributiva: i chiarimenti dell’INPS

L’INPS ha pubblicato la circolare di chiarimenti n. 36/2019 sulla nuova misura introdotta dal Decreto Legge n. 4/2019 che consente il riscatto agevolato di periodi non coperti da contribuzione.

L’agevolazione consiste nella possibilità di detrazione dei costi per il 50% rateizzabili in 5 anni (60 rate).

Va ricordato che l’agevolazione, sperimentale fino al 2021, è riservata a coloro che non hanno effettuato alcun versamento retributivo antecedente al 1996 (data in cui parte l’applicazione del metodo contributivo di calcolo delle pensioni) .

La circolare chiarisce su questo punto che per l’assenza di contributi si deve tenere conto anche dei versamenti verso casse professionali e verso gestioni previdenziali estere.

Altri punti su cui si sofferma l’istituto previdenziale sono i seguenti:

  • i contributi possono essere stati conteggiati in gestioni INPS diverse per cui l’interessato può decidere liberamente in quale delle due gestioni collocare il riscatto;
  • i periodi sanabili devono essere “senza obbligo contributivo” ossia non relativi a periodi lavorativi per i quali il mancato versamento segue le regole ordinarie della regolarizzazione;
  • il costo del riscatto da versare sarà calcolato applicando l’aliquota IVS all’ imponibile previdenziale dei 12 mesi piu recenti;
  • la domanda di riscatto può essere presentata dalla data di entrata in vigore del decreto-legge (29 gennaio 2019) e fino al 31 dicembre 2021 dal diretto interessato o dal suo superstite o, entro il secondo grado, dal suo parente e affine;
  •  l’onere versato è detraibile dall’imposta lorda nella misura del 50%, con una ripartizione in cinque quote annuali costanti e di pari importo nell’anno di sostenimento e in quelli successivi (in realtà al Senato nel corso della conversione in legge, è già stato approvato un emendamento che porta a 10 anni il massimo periodo di rateizzazione).

Per i lavoratori del settore privato, la domanda di riscatto può essere presentata anche dal datore di lavoro dell’assicurato destinando, a tal fine, i premi di produzione spettanti al lavoratore. In tal caso, l’onere versato è deducibile dal reddito di impresa e di lavoro autonomo.

Nei casi in cui la domanda sia presentata dal parente o affine o dal datore di lavoro, in fase di presentazione della stessa è necessario che sia acquisito il consenso del soggetto interessato. Senza la predetta adesione, la relativa domanda è irricevibile.

La domanda deve essere presentata, esclusivamente in via telematica, attraverso uno dei seguenti canali:

1) WEB, tramite i servizi on-line dedicati, accessibili dal cittadino munito di PIN dispositivo, SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) almeno di Livello 2 o CNS (Carta Nazionale dei Servizi), dal sito Internet dell’Istituto attraverso i seguenti percorsi:

– per i riscatti da esercitarsi nelle gestioni dei dipendenti privati:“Prestazioni e servizi” > “Tutti i servizi” > “Riscatto di periodi contributivi”;

– per i riscatti da esercitarsi nelle gestioni dei dipendenti pubblici: “Prestazioni e servizi” > “Tutti i servizi” > “Gestione dipendenti pubblici: servizi per Lavoratori e Pensionati”.

2) Contact Center multicanale, chiamando da telefono fisso il numero verde gratuito 803 164 o da telefono cellulare il numero 06 164164, a pagamento in base al piano tariffario del gestore telefonico, se in possesso di PIN.

3) Patronati e intermediari dell’Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi, anche se non in possesso di PIN.

Nel caso di presentazione della domanda da parte del datore di lavoro, o dei parenti e affini entro il secondo grado, in attesa dell’implementazione della procedura per l’invio telematico, le domande devono essere presentate utilizzando il modulo allegato alla circolare.

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Tassi d’Usura su Prestiti e Finanziamenti: Come Tutelarsi

Rimedi per l’usura originaria

La disciplina dell’usura rappresenta un limite all’autonomia delle parti, giacché le vincola a pattuire gli interessi al di sotto di una determinata soglia prevista per legge, pena l’incriminazione ex art. 644 c.p., la nullità della clausola feneratizia ex art. 1815 c.c., nonché la possibilità di esperire l’azione di rescissione per lesione ex art. 1448 c.c.

Sul piano penale, l’art. 644 c.p. prevede che “Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643 si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000. Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro o altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario. La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”.

In attuazione del rinvio effettuato dall’art. 644 c.p., l’art. 2 della legge 7 marzo 1996, n.108 ha fissato le modalità di calcolo del tasso-soglia superato il quale l’interesse si considera usurario.

Sul piano civilistico, in base all’art. 1815 c.c. “salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Per la determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell’articolo 1284. Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.

La norma appena citata prevede una nullità parziale che si riverbera, però, sull’intera clausola feneratizia, con conseguente trasformazione del mutuo a titolo oneroso in mutuo a titolo gratuito (senza interessi).

L’art. 1815 c.c., va precisato, si applica però solo alla usura pecuniaria a interessi, vale a dire l’usura che si verifica a fronte di un finanziamento remunerato con interessi (a differenza dell’art. 644 c.p., che incrimina l’usura praticata in qualsiasi forma).

L’art. 1815 c.c. non è dunque applicabile alla c.d. usura reale (cioè all’usura che deriva dalla dazione di un bene o dall’effettuazione di un’altra prestazione) o all’usura pecuniaria non ad interessi (cioè all’usura che deriva da un finanziamento che non sia remunerato con interessi, ma con beni di diversa natura).

In questi casi, la sproporzione non è sanzionata con la nullità parziale, bensì attraverso l’istituto della rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. Come noto, ai fini dell’operatività di quest’ultimo rimedio, è però necessaria una sproporzione ultra dimidium.

Sulla scorta del dato normativo espresso sin qui illustrato, parrebbero dunque prive di tutela le ipotesi di usura reale o di usura pecuniaria non ad interessi che non siano ulltra dimidium, sulla scorta dell’art. 1448 c.c.. In realtà, per questo tipo di ipotesi, si potrebbe ipotizzare comunque una responsabilità precontrattuale da contatto sociale.

I rimedi sin qui illustrati sono applicabili unicamente all’usura originaria, vale a dire alla clausola usuraria che risulta tale al momento della sua pattuizione. Ciò si ricava dall’art. 1815 c.c. (che fa riferimento agli interessi usurari “convenuti”), nonché dalla norma di interpretazione autentica prevista dall’art. comma 1, d.l. n. 394 del 2000 (conv. con l. 28 febbraio 2001, n. 24) in base alla quale si intendono usurari gli interessi che superano il tasso-soglia “nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti”.

Vediamo quali diversi rimedi sono ipotizzabili in relazione all’usura sopravvenuta.

Rimedi per l’usura sopravvenuta

L’usura sopravvenuta si verifica in presenza di interessi che non risultavano usurari al momento della pattuizione, ma che lo sono divenuti successivamente (nella fase di esecuzione del contratto).

L’usura sopravvenuta può verificarsi in due occasioni.

Innanzitutto, in relazione ai contratti stipulati prima dell’introduzione della legge 7 marzo 1996, n.108,quando le parti non avevano ancora cognizione del futuro tasso soglia che sarebbe stato imposto dal legislatore e hanno contrattualmente stabilito la corresponsione di interessi oltre il predetto tasso. Allorché tali contratti risultino ancora in corso di esecuzione in seguito all’introduzione della legge 7 marzo 1996, n.108, essi integrano un’ipotesi di usura sopravvenuta. In tal caso l’usura sopravvenuta è la conseguenza di una sopravvenienza normativa.

In relazione ai contratti stipulati dopo l’introduzione della legge 7 marzo 1996, n.108, l’usura sopravvenuta può configurarsi a causa della flessibilità nel tempo del tasso-soglia stabilita dalla predetta legge. Il tasso soglia, infatti, viene ricalcolato periodicamente sulla base delle rilevazioni trimestrali dei Tassi di Interesse Effettivi Globali Medi (TEGM).

Gli interessi afflitti da usura sopravvenuta sono leciti nel nostro ordinamento?

Sono plurime le tesi orientate a escludere l’ammissibilità degli interessi connotati da usura sopravvenuta.

Vi è chi ha sostenuto che ricorra un’ipotesi di nullità sopravvenuta, sulla scorta della natura imperativa della norma che fissa la soglia dell’usura (art. 2 l.108/1996). Si tratterebbe nullità virtuale parziale, con conseguente sostituzione ex artt. 1339 e 1419 c.c. della clausola usuraria con la soglia usuraria massima prevista dalla legge.

In base ad una seconda impostazione, la clausola usuraria sarebbe inefficace, anche in tal caso con meccanismo di sostituzione con la soglia massima usuraria.

In base ad una terza impostazione, la pretesa di interessi superiori al tasso soglia sarebbe inesigibile da parte del creditore, in quanto contrastante con il principio di esecuzione del contratto secondo buona fede imposto dall’art. 1375 c.c.

Di contro, le Sezioni Unite con sentenza del 19 ottobre 2017 n. 24675 hanno affermato la sostanziale irrilevanza dell’usura sopravvenuta.

Le Sezioni Unite, infatti, hanno innanzitutto rilevato che la nullità è una patologia essenzialmente di tipo genetico, mentre non è configurabile la categoria della nullità sopravvenuta. Inoltre, non sarebbe dato ravvisare nell’ordinamento un divieto espresso di usura sopravvenuta (giacchè l’art. 644 c.p. – unica norma contenente un divieto secondo le Sezioni Unite – sarebbe riferibile unicamente all’usura originaria).

In secondo luogo, le Sezioni Unite hanno ritenuto non condivisibile l’orientamento che afferma l’inefficacia della clausola divenuta usuraria. Come noto, l’inefficacia segue una patologia o un altro fatto che la legge prevede dia luogo a inefficacia (come la condizione sospensiva). In relazione all’usura sopravvenuta, l’inefficacia risulterebbe priva di fondamento (come a dire una conseguenza senza causa).

Infine, le Sezioni Unite hanno rilevato come il principio di esecuzione del contratto seconda buona fede attenga alle modalità di attuazione del rapporto e non sia invece idoneo a impedire in sé l’esercizio di un diritto contrattualmente stabilito.

Conclusivamente, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: “allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.

Resterebbe, d’altra parte, la possibilità di ipotizzare il ricorso all’exceptio doli allorché si riuscisse a dimostrare che la pretesa degli interessi usurari, che trova fondamento in una legittima clausola contrattuale, sia però attuata con modalità abusive (con conseguente impossibilità di pretendere quanto meno la parte degli interessi sopra soglia).

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